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DIVINITA'
EROS - CUPIDO - AMORE


Nome: Eros in Grecia, Cupido e Amore a Roma.

Ruolo: Dio dell'amore.

Genitori: Ares (dio della guerra) ed Afrodite (dea della bellezza), fratello di Anteros (dio dell'amore ricambiato), Armonia, Deimos e Fobo.

Figli: Voluttà da Psiche.

Mito: In origine non rappresentava il dio dell'amore, ma una forza ed un'attrazione. Elemento fondamentale del cosmo, Eros è stato generato dal Caos primitivo e rappresenta la forza attrattiva che assicura la coesione dell'universo e la riproduzione delle specie.
Con Omero rappresenta l'attrazione irresistibile che due esseri sentono uno per l'altro e che può arrivare a privarli della ragione o addirittura a distruggerli. Con Esiodo, intorno all'VIII secolo a.C., Eros si trasforma in un dio, ma non è il classico fanciullo che vola scoccando frecce d'amore, ma una divinità primordiale, antica come Gea stessa. Non è figlio di Afrodite, ma il suo compagno di ogni momento.
Fu infatti concepito in maniera duplice: come divinità teogonica (e viene variamente identificato dai mitografi con il figlio del Caos, o del Giorno e della Notte, o del Cielo e della Terra, o anche generato da Urano, da Crono, ecc.), e come divinità della passione amorosa, inseparabile da Afrodite (per questo è comunemente considerato figlio di lei e di Ares, ma anche di Ilitia, di Zefiro e di Iride, di Zeus e infine di Poro e di Penia). Era la personificazione della forza irresistibile che spinge gli esseri umani l'uno verso l'altra ed era venerato anche come protettore delle amicizie fra gli uomini. Armato di un arco col quale scagliava le infallibili frecce dalla cui ferita nasceva il mal d'amore. Per personificare le diverse forme che puņ assumere, gli vengono attribuiti a volte dei fratelli.

Leggende: Appena nato si dice che a Zeus bastò guardarlo in viso per capire che quel piccolo sarebbe stato fonte di infiniti guai. Per questo motivo il re degli dei cercò di convincere la madre a sopprimerlo, ma Afrodite, per salvarlo, lo abbandonò di nascosto in un bosco dove fu nutrito ed allevato dalle bestie feroci. Per sottolineare il carattere irriverente del giovane Eros, si dice che imparò da solo a costruirsi l'arco di frassino e le frecce di cipresso, ed imparò ad usarlo esercitandosi a colpire gli stessi animali che lo avevano nutrito. E anche da adulto non si fece scrupolo di tirare i propri dardi contro gli dei dell'Olimpo e neanche la sua stessa madre Afrodite fu risparmiata, quando scoccandole a tradimento una freccia la fece innamorare di Adone che fu ucciso da Ares ingelosito.
Divinità dallo spirito malizioso ed incline alla perversità. La sua potenza era terribile, poteva causare danni a cui nessuno avrebbe potuto porre rimedio, né uomini né dei. Da questa concezione, la figura del dio si trasformò in una divinità dell'amore, ma rappresentava un pericolo perché il suo potere non aveva limiti.

Il mito di Eros e Psiche narra che la fanciulla, con la sua bellezza, rese gelosa Afrodite. Per vendicarsi, la dea ordinò ad Eros di indurre Psiche a innamorarsi del peggiore e brutto degli uomini, ma quando Eros la vide, fu lui ad innamorarsene. Le sorelle di lei si erano già sposate, mentre lei, nonostante la sua bellezza, non era ancora riuscita a trovare un marito. Il padre chiese ad un oracolo il perché e la risposta fu terrificante: egli avrebbe dovuto lasciare la figlia sulla sommità di una montagna, vestita con abito nuziale, dove sarebbe stata corteggiata da un personaggio temuto dagli stessi dei. egli ubbidì e la a ragazza rimase sola nell'oscurità, ma ben presto Eros la fece trasportare da Zefiro in una valle radiosa, dove sorgeva un meraviglioso palazzo. Delle voci la guidarono in una camera, dove ancelle invisibili l'abbigliarono per la prima notte di nozze. Eros trascorreva ogni notte con lei, ma giungeva da lei solo nell'oscurità, e le aveva imposto di non cercare mai di guardarlo o di sapere chi fosse. Istigata dalle sorelle, che un giorno le erano andate a far visita, Psiche temette che il misterioso amante fosse un mostro, e una notte, approfittando del sonno di Eros, si avvicinò a lui con una lucerna accesa e con un pugnale per ucciderlo. Vedendolo e contemplandone finalmente la bellezza, per l'emozione fece cadere una goccia d'olio bollente sulla spalla del dio dormiente. Eros si svegliò rimproverandola e scomparve.
Il primo pensiero di Psiche, abbandonata a causa della sua colpa, fu quello della morte, e si gettò in un fiume, ma la corrente pietosa la riportò sull'altra riva. Così iniziò a vagare inutilmente per il mondo alla ricerca del suo amore. Eros, invece, tormentato dalla febbre per la spalla bruciata, o forse dallo stesso dolore di Psiche, trovò rifugio presso la dimora materna. Afrodite, quando venne a sapere che suo figlio aveva osato amare una mortale, che era anche sua rivale, lo aggredì. Ma non potendo fare niente di male al figlio pensò di vendicarsi su Psiche, e con il permesso di Zeus mandò Ermes in giro per il mondo a divulgare la notizia che Psiche doveva essere punita come nemica degli dei, e che il premio per la sua cattura sarebbero stati sette baci che la stessa dea avrebbe donato. La notizia giunse fino alle orecchie di Psiche, che decise di sua volontà di andare sull'Olimpo a chiedere perdono. Afrodite le strappò i vestiti e la fece flagellare, affermandole che questa era la punizione di una suocera addolorata per il figlio malato.
Psiche divenne sua schiava, e inutilmente la giovane si rivolse a Cerere e a Giunone perché la difendessero dall'odio della dea che continuava a perseguitarla dandole i compiti più ingrati e difficili. Le fu ordinato di dividere un cumulo di grano, orzo, miglio e altri semi, e separare un mucchio di perle in base alla dimensione, ma le formiche l'aiutarono facendo gran parte del lavoro. Un'altra volta la dea le ordinò di portarle il vello dorato dei montoni selvaggi, ma le canne che crescevano lungo il fiume le dissero che i montoni, verso sera, dormivano estenuati dal calore della giornata e che quindi era più facile avvicinarli. Psiche riuscì quindi anche in questa impresa. Afrodite pretese una giara di acqua gelata dello Stige, dove viveva un drago, ma fu l'aquila di Zues a compiere la missione per lei. Alla fine la dea chiese a Psiche di portare un vaso nel mondo sotterraneo a Proserpina, affinché vi mettesse un po' della sua bellezza, in quanto la dea dell'amore aveva consumato la sua nel curare il figlio. Psiche non sapeva dove andare, quando vide una torre, pensò che da lì avrebbe potuto buttarsi per porre fine alla sua vita. Ma la torre stessa le parlò indicandole l'entrata del mondo sotterraneo e dicendole di portare con se due monete per pagare caronte affinché la traghettasse dall'altro lato dello Stige e tre focacce d'orzo impastate con vino e miele per distrarre il cerbero. Proserpina la accolse con cortesia, prese il vaso e lo riempì. Psiche poté così tornare nel mondo dei vivi, ma dopo tutto quello che aveva subito, Psiche non riuscì a resistere alla tentazione di aprire il vaso e prendere un po' della bellezza contenuta per sé. Il vaso, non appena lo aprì, si rivelò vuoto e Psiche cadde a terra in un sonno profondo.
Quando Eros seppe di quello che stava succedendo, riuscì ad eludere la sorveglianza in casa della madre ed a ritrovare Psiche. La rianimò e la fanciulla riconsegnò il vaso ad Afrodite. Eros si recò da Zeus e gli chiese di aiutarlo, e decretò che il matrimonio tra Eros e Psiche poteva essere celebrato. Psiche fu portata sull'Olimpo e vennero celebrate le loro nozze alla presenza di tutti gli dei, ma prima Zeus le fece bere l'ambrosia, rendendola immortale, e placando finalmente la gelosia di Afrodite. Dalla loro unione nacque una figlia, conosciuta col nome di Voluttà.

Iconografia: Fu rappresentato dagli artisti forse più di ogni altro dio. Rappresentato come un fanciullo o un efebo, spesso alato, armato di un arco con cui scaglia sugli uomini le frecce, più raramente con fiori o una lira. Per indicare che l'illusione amorosa non fa vedere i difetti della persona amata, spesso veniva raffigurato con gli occhi coperti da una benda ed una face accesa gli fiammeggiava in una delle mani. In età ellenistica la sua figura diviene più molle, femminea, sempre più infantile, finché venne rappresentato come un putto alato. A questo periodo risale anche la nascita del mito di Amore e Psiche.

Immagine in alto: Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625.


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